10. Vampire Weekend – Modern Vampires of the City (XL)
Non sono mai stato un fan della band di Ezra Koenig. Per quanto ogni album ci abbia regalato delle canzoni eccezionali, sulla lunga distanza li ho sempre trovati stucchevoli. Questo terzo album invece è semplicemente perfetto, senza cedimenti o cali di tensione e ci dimostra ancora una volta – se ce ne fosse bisogno – che il pop è una materia via e pulsante, in grado di reinventarsi continuamente senza smarrire se stessa. Qui al numero 10, ma se dovessi stilare una classifica delle 10 migliori canzoni dell’anno “Hey Ya” si troverebbe facilmente al numero 1. Guarda il video di “Diane Young”.
09. Forest Swords – Engravings (Tri Angle)
E con questo album si ripropone il tema del grande anno che ha conosciuto l’Inghilterra, soprattutto in ambito elettronico. Matthew Barnes , dopo un ottimo ep, esordisce con un album portentoso. Il suo dub rarefatto e lisergico è aumentato di spessore e intensità. Arpeggi di chitarra, flauti e cori arricchiscono un suono che si è fatto potente e passionale, profondamente urbano. Engravings rivela anche un gran senso della melodia che, per quanto somministrata con parsimonia, induce narcolessia e crea dipendenza. Guarda il video di “Thor’s Stone”.
08. Low – The Invisible Way (Sub Pop)
Il concetto di longevità in musica dovrebbe essere più immediatamente legato al grado di qualità che un gruppo riesce a mantenere nel corso della propria carriera. In questo senso la band del Minnesota sarebbe a buon diritto da considerare uno dei gruppi più longevi del pianeta. Dopo 20 anni di carriera, The Invisible Way (il loro decimo album) è ancora una volta un capolavoro di semplicità e intensità che fonda la propria ragion d’essere sugli elementi base della musica “pop”: suono e melodia. Tutto ai massimi livelli. Guarda il video di “Just Make It Stop”.
07. Jon Hopkins – Immunity (Domino)
Un album di Idm attualizzata al momento presente, che parte dal recupero di synth e atmosfere anni ’90 per calarle in un contesto di malinconie urbane fatto di languide note di piano, bassi profondi e micro beat al galoppo. Melodico e arioso, Immunity è un piccolo capolavoro dove tutto è curato al minimo dettaglio con generosità e passione: suono, ritmo e melodia. Jon Hopkins è un fuori classe, ed è un altro dei nomi che hanno fatto grande il 2013 dell’Inghilterra. Guarda il video di “Open Eye Signal” (ma va ricordata anche la versione di “Breathe This Air” con Purity Ring, anche se non presente sull’album).
06. Kurt Vile – Wakin On A Pretty Daze (Matador)
Confesso che fino a questo album non ero mai riuscito ad apprezzare fino in fondo Kurt Vile. Wakin On A Pretty Daze è uno dei dischi che ho ascoltato di più in assoluto in questo 2013, merito del suo mood particolarissimo, evocato da chitarre pigramente scintillanti e melodie perfette buttate là con la noncuranza di uno slacker consumato. Una commistione paradossale che giustifica la lunghezza di alcuni brani (come la title track) di cui ci si innamora proprio grazie alla loro ripetitività cantilenante. Kurt Vile più che sedurre, incanta. Guarda il video di “Never Run Away”.
05. Deerhunter – Monomania (4AD)
E questi non sbagliano un colpo. Considerate anche le abbondanti deviazioni soliste degli ultimi anni, bisogna riconoscere che la band di Atlanta mantiene dei livelli altissimi. Ancora una volta i Deerhunter ripropongono la loro miscela improbabile di indie rock psichedelico che sa graffiare e accarezzare al tempo stesso e sa fa convivere le distorsioni di scuola Sonic Youth con l’androginia glamour di David Bowie. Ma al di là di tutto ciò che si può riconoscere nel loro suono, bisogna ammettere che ormai i ragazzi sono titolari del proprio marchio di fabbrica, sempre immediatamente riconoscibile. Complimenti. Guarda il video di “Back To The Middle”.
04. Colin Stetson – New History Warfare Vol. 3: To See More Light (Constellation)
Uno dei musicisti più eccezionali in circolazione, apprezzatissimo dai colleghi e con questo album finalmente anche da un pubblico più vasto. Io mi sono innamorato del suo sassofono dopo una delle sue ormai leggendarie performance live, tappa obbligata per riuscire a calarsi fino in fondo nel suo suono e nei suoi album (che vengono registrati sostanzialmente dal vivo e senza overdub). To See More Light è al momento il suo capolavoro. Come ho scritto per Rumore: “La domanda è: fino a dove si può spingere il suono di un singolo strumento? Colin Stetson ci dà la sua risposta, inaudita e grandiosa. Chapeau”. Guarda il video di “In Mirrors” + “And In Truth”.
03. These New Puritans – Field Of Reeds (Infectious)
Da parte di chi non lo ha apprezzato, l’accusa più frequente è quella di essere un album “pretenzioso”. Io, come chi lo ha invece amato alla follia, lo definisco più volentieri “audace”. Un album che alterna pieni e vuoti in una vertigine di suoni, sinfonico e minimale al tempo stesso, che ha la faccia tosta di chiamare in causa David Sylvian e Mark Hollis. Sfrontati sicuramente i puritani, ma se osare tanto significa essere pretenziosi, allora magari avercene pure altri con la stessa sfacciataggine. E la sensazione è che il meglio debba ancora venire. L’appuntamento con il capolavoro è solo rimandato. Guarda il video di “Organ Eternal”.
02. Arcade Fire – Reflektor (Merge)
Nelle stroncature che ho letto di questo album mi pare prevalga un impulso freudiano di uccidere il padre. Un gruppo non fa in tempo ad arrivare in cima che subito si scatena la corsa per buttarlo giù. Un pizzico di onestà intellettuale in più consentirebbe di apprezzare non solo un cambio così radicale, ma soprattutto questa nuova consapevolezza della propria universalità. Con The Suburbs gli Arcade Fire si erano trovati sul trono quasi a loro insaputa, con Reflektor il trono se lo prendono di cattiveria. E sono sempre fedeli a se stessi: epici, commoventi ed entusiasmanti. Guarda il video di “Afterlife”.
01. James Blake – Overgrown (Republic)
L’affermazione che attendevo è arrivata puntualmente. James Blake non cambia di molto rispetto all’esordio, gli basta aggiustare il tiro e puntare un po’ più in alto e il gioco è fatto. Una via “bianca” al soul poteva essere solo una felice intuizione prima di questo album, adesso è una realtà entusiasmante. Il lato B del doppio album in vinile mette a segno una tripletta (“Life Round Here”, “Take A Fall For Me”, “Retrograde”) che già da sola è sufficente a sgominare tutta la concorrenza. Overgrown è uscito ad aprile, e probabilmente è il primo anno che mi capita di assegnare la palma con tanto anticipo.
20. Mount Kimbie – Cold Spring Fault Less Youth (Warp)
Dopo un esordio promettente, arriva l’album delle conferme. Senza abbandonare il gusto per le atmosfere morbide ed eteree, i due inglesi mostrano di saper innervare il proprio suono con una buona dose di groove e sangue, quando serve. Più ricchi e rotondi, Mount Kimbie a tratti toccano la perfezione. “Blood and Form” direbbero loro… noi diciamo “leggerezza e carnalità” insieme: si può fare. Guarda il video di “You Took Your Time” (ft. King Krule).
19. Bonnie ‘Prince’ Billy – s/t (autoprodotto)
Chi ha visto questo disco? Will Oldham torna a sorpresa con un album senza titolo, autoprodotto e senza distribuzione. La leggenda vuole che lo abbia distribuito a mano personalmente in alcuni negozi di dischi indipendenti… Un ritorno in sordina per un album acustico, privato, sussurrato chitarra e voce, che ci restituisce un principe come lo si aspettava dai tempi di I See A Darkness. Probabilmente lo ritroveremo nelle classifiche di fine 2014, dato che il prossimo anno avrà una distribuzione ufficiale.
18. Boduf Songs – Burnt Up On Re-Entry (Southern)
Anno dopo anno, disco dopo disco, Mathew Sweet continua ad essere uno dei casi di sottovalutazione che più gridano vendetta al cielo. Il suo arpeggiare metallico riverbera sulla profondità di una voce che non lascia scampo neanche quando sussurra. Rispetto al passato l’aria si è fatta ancora più pesante e irrespirabile, merito (si fa per dire) anche di inaspettati inserimenti elettronici che oscillano tra la glacialità degli Autechre e la spietatezza di NIN. “Everyone Will Let You Down In The End” canta colui che non delude mai. Guarda il video di “Song To Keep Me Still”.
17. Iceage – You’re Nothing (Matador)
Rispetto all’esordio la band danese si concede un pizzico di melodia in più e qualche riff cadenzato dal sapore hardcore californiano vecchia scuola. Bene anche così, dal momento che non si arretra rispetto alla cupezza nordica che ha sempre caratterizzato il loro suono e non si rinuncia alla spigolosità del post-punk più ruvido. Ce lo avessi avuto a 14 anni, questo disco sarebbe probabilmente entrato sul podio… ma siccome ho un’altra età si devono accontentare di questa piazza. Guarda il video live di “Morals”.
16. Foxygen – We Are The 21st Century Ambassadors of Peace and Magic (Jagjaguwar)
Dopo un ep entusiasmante, confesso che avevo riposto forse un po’ troppa fiducia nell’esordio della coppia americana. Questo album non è il capolavoro che attendevo, ma resta una raccolta di grandi melodie in bilico tra rock e pop con una spinta attitudine retromaniaca. Non manca quel pizzico di ironia che rende il tutto fresco e leggero. Speriamo che non si perdano. Guarda il video di “No Destruction”.
15. Daniel Avery – Drone Logic (Phantasy Sound)
Chiamiatela techno, se volete. La realtà è che questo giovanissimo inglese per il suo esordio ha trovato il modo di far convivere un insieme di suoni che ho sempre amato: Andy Weatherall soprattutto, ma anche i Chemical Brothers e Trevor Jackson. Il tutto suona minimale eppure rotondo e potente, sfacciato al punto da permettersi anche qualche distorsione shoegazing. La sorpresa delll’anno. Guarda il video di “All I Need”.
14. Bill Callahan – Dream River (Drag City)
E qui mi tocca fare un po’ il bastian contrario, e mi dispiace. Perché quando finalmente il vecchio Bill riesce ad avere il consenso unanime che merita, io non riesco a impedirmi di pensare che quest’ultimo album è una buona spanna sotto Apocalypse e Sometimes I Wish We Were an Eagle. Resta il “solito” grande disco di Bill Callahan, per carità, e dunque impossibile tenerlo fuori dalla top 20. Guarda il video di “Small Plane”.
13. King Krule – 6 Feet Beneath the Moon (XL)
Il capolavoro è ancora di là da venire, va bene. Resta il fatto che questo ragazzino lentigginoso e dalla voce improbabile è riuscito a produrre un esordio che fa gridare al miracolo per capacità di scrivere, di arrangiare, di evocare. Alla faccia dei suoi neanche vent’anni. Non una sorpresa in questo caso (già lo si conosceva e attendeva alla prova), ma la conferma che sta succedendo di nuovo qualcosa in Inghilterra… era ora. Guarda il video di “Easy Easy”.
12. The National – Trouble Will Find Me (4AD)
Onestamente non so se avrei tollerato un altro album dall’intensità senza redenzione di High Violet. Sono perciò grato a The National di avermi concesso un album di tregua, fatto di canzoni dove certo non c’è ancora pace, ma si respira comunque con meno affanno, dove ci si può far cullare dalla loro malinconia senza fondo con un pizzico di autocompiacimento. Guarda il video di “Graceless”.
11. Unknown Mortal Orchestra – II (Jagjaguwar)
Un album praticamente perfetto. Una raccolta di canzoni pop-rock dal cuore trabboccante soul, soffusamente lisergiche sullo sfondo e obliquamente oniriche in primo piano. Dopo un esordio interessante, con questa seconda prova la band di Portland fa un balzo in avanti portentoso di cui, onestamente, non li credevo capaci. Ogni tanto è bello essere smentiti. Guarda il video di “So Good At Being In Trouble”.
Per qualche motivo, istintivo, ho sempre creduto alla genuinità di Willis Earl Beal, anche quando era chiaro che il mettere l’accento sulla teatralità del suo personaggio (vagabondo, mezzo matto e mezzo homeless) obbediva ad una strategia diretta per attirare l’attenzione su quello che, a ben vedere, non era altro che un esordio (buono, ma non esaltante) di un perfetto sconosciuto. Quel disco, insomma, mi sembrava il classico debutto di un artista che aveva qualcosa da dire, ma non aveva ancora trovato il modo di dirlo. Il problema non era certo la voce, già impressionante, ma ruotava più che altro intorno a una questione di suono, ancora troppo acerbo e poco profondo, intenso.
Il nuovo Nobody Knows colpisce al primo ascolto: Willis ha trovato il modo. Il suono. Willis ha preso il soul e l’ha immerso in un pozzo dove non filtra più luce, un nero che resta ugualmente denso e appiccicoso anche quando decide di suonare in acustico. Nobody Knows evoca lo spettro di Screamin’ Jay Hawkins, facendo appello alla sua teatralità e alla sua disperazione, ma rinunciando alla sua ironia. Willis canta come se non ci fosse un domani.
I Fuck Buttons mi sono sempre piaciuti per la loro capacità di giocare con l’elettronica. Il loro suono è una sfida alle orecchie dell’ascoltatore che cerca di indovinare dove finisce il digitale e dove comincia l’analogico. L’impressione è che i due di Bristol si divertano a mischiare le carte in tavola deliberatamente, a prendere gli strumenti veri e farli suonare in modo sintetico e, viceversa, utilizzare i computer tentando di renderli il più “umani possibile”. È anche per questo che il loro suono, anche in questo Slow Focus, mantiene una tonalità fortemente psichedelica, per quanto più oscura rispetto al precedente e coloratissimo Tarot Sports. Ed è per lo stesso motivo che i Fuck Buttons rimangono un unicum all’interno del panorama elettronico attuale.
Fuck Buttons – “The Red Wing (edit)”
Playlist martedì 6 agosto 2013
Fuck Buttons –Slow Focus (ATP)
“Prince’s Prize” Jon Hopkins – Imminuty (Domino)
“Breathe This Air” Evenings – Yore LP (Friends of Friends)
“Babe” Koreless – Yugen EP (Young Turks)
“Last Remnants” Sebadoh – Secret EP (Domino)
“Arbitrary High” Grant Hart – The Argument (Domino)
“Glorious” Eleanor Friedberger – Personal Record (Merge)
“Tomorrow Tomorrow” Jackson Scott – Melbourne (Fat Possum)
“Together Forever”
Quando ormai ero convinto che la mia voglia di urlati in italiano per questa torrida estate 2013 sarebbe stata soddisfatta dal ritorno dei Fine Before You Came (sempre ottimi anche sulla media durata) e dei Gazebo Penguins (un po’ leggerini per i miei quasi 40, ma comunque validi), ecco spuntare i Marnero, che non conoscevo nonostante già due album all’attivo. Quello che colpisce de Il Sopravvissuto è l’intensità. Non solo dei suoni, che colpiscono per la varietà dei registri che sono in grado di adottare (si va dal post-hc allo sludge attraversondo momenti metal tout-court), ma soprattutto per le liriche. Parole che pesano come macigni anche quando si è costretti a indovinarle, scorticate dalle distorsioni di chitarra. Un album duro, dove anche le aperture melodiche non concedono tregua ma servono ad affondare meglio il colpo.
L’album è in download gratuito, ma nulla vieta di acquistare il supporto fisico (io mi sono appena ordinato il vinile).
Non so a voi, ma a me il nome di Coma Cinema era de tutto ignoto. Ancor meno mi diceva quello di Mat Cochran, l’autore che l’ha scelto per pubblicare i suoi dischi. Eppure questo Posthumous Release è il suo terzo album e mette in luce delle qualità incontestabili. Si tratta di cantautorato ispirato, in bilico tra pop e folk, con espliciti riferimenti ad un panorama melodico ancorato saldamente agli anni ’90. Le canzoni, sussurrate e sofferte, si tingono spesso di soffusa psichedelia dalle atmosfere morbose e disperate, ma senza rinunciare ad un tocco di leggerezza che spiazza e invita ad ascolti ripetuti. Sul suo bandcamp l’album è ancora disponibile ad offerta libera (vale anche 0). Buona estate all’inferno.
Playlist martedì 9 luglio 2013
Coma Cinema – Posthumous Release (Spoon & Fork)
“Satan Made A Mansion” Jackson Scott – Melbourne (Fat Possum)
“That Awful Sound” Dirty Beaches – Drifters/Love is The Devil (Zoo Music)
“Elli” Anika – Anika Ep (Stones Throw)
“In The City” Airhead – For Years (R&S)
“Callow” Lemuria – The Distance Is So Big (Bridge 9)
“Brilliant Dancer” Jagwar Ma – Howlin’ (Marathon Artists)
“Man I Need” Austra – Olympia (Domino)
“Forgive Me” Young Galaxy – Ultramarine (Paper Bag)
“New Summer” Tuung – Turbines (Full Time Hobby)
“By This”
Diciamo pure che ne abbiamo dimenticato più di qualcuno, ma la playlist di questa ultima puntata più che una classifica dei nostri dischi preferiti di questa prima metà del 2013, è stata anche un modo per fare un po’ il punto della situazione sull’annata musicale in corso. Ovviamente a condizionare le nostre scelte è stato anche il tempo, limitato, a disposizione, però nel complesso diciamo che a parte qualche svista (Kurt Vile, Low, Yo La Tengo, Boduf Songs e… continuate voi se volete), l’elenco qui sotto è abbastanza rappresentativo dei dischi che ci sono piaciuti di più fino a questo momento.
La copertina la riserviamo invece ai These New Puritans, di cui i più esigenti (e snob) diranno che questo nuovo Field Of Reeds è pretenzioso e stucchevole. Per quanto mi riguarda è invece una delle uscite più interessanti e audaci di questo 2013. Potevano continuare a cercare l’affermazione definitiva continuando a fare quel che sapevano fare benissimo e invece hanno voluto cambiare totalmente spiazzando tutti. Esperimento riuscito a metà? Forse, ma vivadio c’è ancora qualcuno che ha voglia di osare.
Playlist martedì 18 giugno 2013
James Blake – Overgrown (Polydor)
“Take A Fall For Me (ft. RZA)” Ghostpoet – Some Say I So I Say Light (Play It Again Sam)
“Meltdown (ft. Woodpecker Wooliams)” Flume – s/t (Transgressive)
“Insane” Deerhunter – Monomania (4AD)
“T. H. M.” White Fence – Cyclops Reap (Castle Face)
“Pink Gorilla” Thee Oh Sees – Floating Coffin (Castle Face)
“Toe Cutter/Thumb Buster” Iceage – You`re Nothing (Matador)
“Everything Drifts” Brazos – Saltwater (Dead Oceans)
“How The Ranks Was Wone” Colin Stetson – New History Warfare Vol. 3: To See More Light (Constellation)
“Haunted” These New Puritans – Field of Reeds (Infectious)
“Fragment Two”
Alla fine par di poter dire che dalla conclusione (momentanea?) del progetto The Fiery Furnaces ne è uscita meglio Eleanor. Entrambi geniali propugnatori di una genuina ricerca sul suono e sugli arrangiamenti in ambito pop-rock, i fratelli Friedberger sembrano aver preso con decisione i due sentieri che hanno accompagnato parallelamente la loro esperienza musicale comune. E così mentre Matthew si dedicava a coltivare la parte più sperimentale del duo, Eleanor Friedberger si è consacrata a portare avanti quella più pop, senza rinunciare a quel tocco e a quella visione da musicista “studiata” che pure le appartiene. Personal Record è in questo senso un album messo a fuoco perfettamente, dove le canzoni lasciano sempre una sensazione di leggerezza e semplicità pur presentandosi, senza nascondersi, con arrangiamenti obliqui e strutture mai banali. Bravissima.
Playlist martedì 11 giugno 2013
Eleanor Friedberger – Personal Record (Merge)
“When I Knew” Brazos – Saltwater (Dead Oceans)
“Charm” Sean Nicholas Savage – Other Life (Arbutus)
“She Looks Like You” Majical Cloudz – Impersonator (Matador)
“Childhood’s End” Bass Drum Of Death – 2013 (Innovative Leisure)
“Shattered Me” The Growlers – Hung At Heart (Fat Cat)
“Naked Kids” Cocorosie – Tales of a Grass Widow (City Slang)
“After The Afterlife” Thundercat – Apocalypse (Brainfeeder)
“Special Stage” Boards Of Canada – Tomorrow’s Harvest (Warp)
“Come To Dust” Jon Hopkins – Immunity (Domino)
“We Disappear”